Il Sud sempre più sud…
Da un lato la “percezione”: lo spread “contento” della manovra che è sceso al minimo storico, Bankitalia che sostiene che «l’inversione di tendenza» è dietro l’angolo ed Enrico Letta che gongola sostenendo come la legge di stabilità sia «l’inizio della svolta». Dall’altro lato la “realtà” che riguarda pressappoco metà del Paese. È allarme rosso per il Sud. Lo lancia lo Svimez che nel suo rapporto parla di «deserto industriale» con un crollo del 25% della produzione in 5 cinque anni, al quale si aggiunge un calo del 4,8% dei consumi delle famiglie nel 2012, a fronte di più tasse e meno spesa pubblica fra il 2007 e il 2011. Del resto i casi Ilva e Alcoa – assieme alla crisi del comparto automobilistico (Pomigliano e Termini Imerese) e di quello della tecnologia (Etna Valley) – messi tutti insieme non possono che comporre un problema che scavalca la crisi dei singoli comparti e dei territori.
Un quadro, questo dell’Italia reale, in controtendenza rispetto all’entusiasmo con il quale è stata accolta la legge di stabilità dai mercati. Altri dati? Prendiamo l’occupazione che, sempre secondo il rapporto, è in calo con una quota di occupati sotto i sei milioni, ai livelli del 1977. E continua ance la “fuga” di cervelli al Nord: circa 2,7 milioni di persone in 20 anni. Il Sud insomma rischia di non agganciare la ripresa nel 2014 (quella sbandierata sopra) con un Pil inchiodato allo 0,1%. Davanti a questo è preoccupato il presidente Napolitano che auspica l’avvio di «un nuovo processo di sviluppo» che trovi solida base nel Meridione. Resta da capire come, dato che all’interno del provvedimento varato dal governo – così come nel decreto del fare – non v’è traccia di misure dedicate al nodo Mezzogiorno.
Andando nello specifico si vede subito come l’Italia sia sempre più un paese spaccato a metà. I consumi della famiglie meridionali sono sprofondati del 9,3%, oltre due volte in più del Centro-Nord (-3,5%). Negli anni della crisi, dal 2008 al 2012, gli investimenti sono crollati al Sud del 25,8%, con un peso determinante dell’industria (-47% dal 2007 al 2012).
Non solo. Riguardo al fenomeno dell’emigrazione interna fa impressionare notare come – a differenza del dopoguerra – questa sia legata al titolo di studio: il 64% dei meridionali che nel 2011 hanno lasciato il Mezzogiorno per una regione del Centro-Nord aveva infatti un titolo di studio medio-alto, diploma o laurea. I laureati diretti al Centro-Nord sono nel 2011 il 25% del totale, più che raddoppiati in dieci anni.